Cosí anche il fiero e coerente Bevione si guarda bene di esprimere un proprio giudizio preciso, reciso. Per la sua nuova incarnazione orsiana — assicurata da uno stipendio da sottoeccellenza — Bevione tace, scantona, attende.
Non domandiamo piú perché la «Gazzetta» non si pronuncia. Sono tempo e spazio sprecati. A parte l'affare dell'Esposizione, la zitellona di via Quattro Marzo prima di farsi un'opinione ha bisogno di pensarci su molto, di ponzare assai. Di poche, ma buone idee, essa, per non comprometterle e compromettersi, va guardinga. La «politica» è volubile come il vento e mobile come l'onda, ma il giornale del commendatore bavarese non è un vaneggino qualsiasi che muta pensiero ad ogni stormire di fronda. La «tradizione» deve pur contare qualcosa, e, nelle contingenze difficili, il conte Orsi si appiglia con tutta la forza della sua intemerata coscienza e della sua illimitata intelligenza alla «tradizione delle tradizioni» ed elegge a proprio imperativo categorico, non quello di Emanuele Kant, che puzza di prussianesimo, mentre l'Orsi ci tiene ad essere... bavarese, ma l'altro che dice banalmente, francamente: il silenzio è d'oro e la parola è d'argento.
Il conte Orsi, quando avrà tempo e voglia di compiere uno sforzo dialettico, non è improbabile che modifichi la «tradizione della tradizione» asseverando che la parola è appena appena di rame...
E sarà quello il piú grande sforzo intellettivo della sua onorata esistenza. E allora bisognerà farlo anche lui senatore.
(12 marzo 1916).
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