Quindicilire — quegli che vuole la fucilazione dei nemici interni, e intanto lui se la passa benone al fronte interno — «non sanno rassegnarsi alla condizione di semplici servitori del ministero».
Dica la «Gazzetta dei tribunali»: in questi casi chi è l'aggressore e chi l'aggredito?
Tralascio un altro giornale di qui che stamane annunzia che l'edizione torinese dell'«Avanti!» esce per assicurare a qualcuno una lauta prebenda.
Tutto ciò è provincialesco, stupido, nauseante. E il disgusto maggiore, piú repellente, è pur sempre quello che proviene dalla necessità che talvolta c'impone di rispondere, d'impelagarci anche noi — cittadini del mondo — in cotale pattume e pettegolume provincialesco.
Ed è cosí che, malgrado tutto, le nostre aggressioni personali continueranno.
(13 marzo 1916).
CHI PIÚ HA UCCISO
Due casi ormai non piú insoliti, non straordinari, oggi la cronaca registra. Due casi che passano pur essi sotto l'indifferenza del pubblico. Ed è quasi anacronistico per... il cronista agghindarli di considerazioni e di particolari. Forse ha ragione quello studioso di demografia che consiglia la stampa italiana ad imitare la laconicità dei giornali inglesi e tedeschi nel dare la cronaca «nera», quindi anche la cronaca degli infanticidi perpetrati da madri snaturate e disgraziate. Oggi se ne registrano due.
Una fantesca, certa Maria Saccocci, ventunenne, nativa di Siena, appena sgravatasi di una bambina confezionata in collaborazione di non si sa chi, l'ha soffocata cacciandole nella piccola bocca uno strofinaccio.
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Maria Saccocci Siena
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