La polizia lo sapeva, ma lasciava fare.
Pare di leggere Notre-Dame de Paris di Victor Hugo, o uno dei tanti romanzi nei quali si narrano le glorie e le miserie della camorra napoletana: la descrizione di una corte dei miracoli o di un'assemblea a Portici di «guaglioni» dell'onorata società. Non che sia strano o miracoloso che a Torino ci siano ancora dei malviventi e che essi si riuniscano in clan per sbrigare meglio le loro faccende. Il pregiudizio che attribuisce ad una sola parte d'Italia il vanto delle vaste associazioni a delinquere, non è da noi condiviso. Lo strano ed il miracoloso sta nella constatazione che la questura sapeva, che la questura abbia aspettato tanto a provvedere e che i giornali abbiano cercato di abbacinare il pubblico ricostruendo romanticamente il fatto, facendo del commissario Tabusso un generale Joffre o un colonnello Barone sapiente di strategia e di manovre avvolgenti, che sviluppa tutto un suo piano d'assedio, come se si trattasse della cattura di Verdun o di Gorizia. E sia pure: date la medaglia e fate commendatore Tabusso, ma destituite il questore. Non può avere giustificazioni chi ha aspettato tanto a prendere un provvedimento che la sicurezza della città imponeva, domandava fosse rapido e immediato. Le corti dei miracoli si spiegano nei tempi passati, quando anche i malviventi potevano avere dei privilegi e dei luoghi di rifugio impenetrabili all'autorità esecutiva. E impenetrabile era il campo trincerato preparato dalla malavita nei prati della vecchia Piazza d'Armi: da una parte il muro di cinta del cimitero, con il suo lugubre spauracchio, dall'altra la Dora fetida che forma un saliente e ripara da due lati, e poi dei prati fino al Regio Parco e a S. Mauro.
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