Pio Foà è vecchio, ed è scienziato. La sua giovinezza ha coinciso con la primavera della patria. Ha sentito dagli spalti di Padova rimbombare il lontano cannone di Solferino, ha visto Milano piena di calzoni rossi dei soldati francesi, ha letto nelle bozze date alla procura austriaca i libri di Michelet e di Victor Hugo che l'editore Daelli veniva gettando in pasto alla gioventú affamata di liberalismo e di sacri principî dell'89. Allora il pendolo segnava: Francia. La sua maturità di studioso si è affermata dopo il '70. Sorgeva l'astro radioso e trionfante della nuova Germania. L'edifizio del nuovo Stato italiano scricchiolava in tutta la sua ossatura. Pauperismo, analfabetismo, ricordi tragici di Custoza e Lissa. Dogali, Abba-Garima, Adua, Triplice Alleanza, Germania e Austria sono le dande che sorreggono il neonato e lo avviano per le ubertose convalli della prosperità. Lo scienziato che vent'anni prima attendeva con ansia la pubblicazione dell'Histoire de France di Michelet o dell'Uomo che ride, attende ora l'arrivo del commesso viaggiatore tedesco che gli porta a basso prezzo e con pagamento a respiro gli strumenti di lavoro che gli permetteranno di dotare il suo laboratorio e di lavorare; attende che un editore di Lipsia o di Dresda gli stampi le sue monografie con abbondanza di tavole cromolitografiche, e non solo non gli domandi un indennizzo, ma addirittura gli mandi buona moneta di ricompensa. Il pendolo irresistibilmente si polarizza da un altro lato e attinge un nuovo nome: Germania.
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