Scoppia la conflagrazione: il pendolo perde la testa, le oscillazioni diventano pazzesche, turbinose, insomma l'anima è ormai un'anima in pena. Il processo di individualizzazione incomincia, per essere precisi, in una stazione ferroviaria; probabilmente svizzera. Inglesi, francesi, tedeschi, austriaci la circondano, e bussano alla sua porticina d'ingresso. Essa pone prima fuori una modesta insegna: per ora non si affitta; è la dichiarazione di neutralità. Il processo si accentua: neutralità vigile e armata, e finalmente raggiunge l'apice: sacro egoismo. Ormai la verticalità è quasi raggiunta: il 24 maggio il fato è compiuto. L'anima è diventata una psiche, che non si lascia piú trasportare dai movimenti cardiaci (sic) e si riscalda e trae solo commozione dall'oratoria belga, che la convince i tedeschi essere realmente dei barbari ormai rivelatisi in tutta la loro orridezza. Una gita al fronte italiano conferma la psiche nelle sue nuove convinzioni, e allora il bandierone sventola sul mastio del castello ormai solido e incrollabile.
Cosí Pio Foà ha tessuto la storia intima della sua anima. Storia artificiosa e puerile, perché basata su dei presupposti vaghi e poco seri. Invero Pio Foà non ha convinto e non ha commosso nessuno: la grande facilità con la quale egli si è successivamente adagiato nelle varie formule escogitate dal bolso machiavellismo nostrale, dimostra che egli stesso è ancora un bambino che ha bisogno di dande per reggersi sulle gambucce malferme, e per non commettere spropositi che potrebbero diminuire la sua buona fama di patriotta vigile ed armato e sacrosantamente egoista.
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Pio Foà Pio Foà
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