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      Gli studiosi sorridevano, punzecchiavano, ma i loro appunti erano fatti passare per rivolta accademica contro chi si faceva leggere, e d'altronde le riviste erudite non potevano competere in popolarità con le edizioni Treves. L'aneddoto del tiranno che Ferrero diceva un Menelik dell'antichità e che era soltanto... una misura di lunghezza, non ebbe quella fortuna che si sarebbe meritato. Eppure poteva servire da indice. Immaginate un francese che scriva la storia d'Italia e in un testo trovi citata la Regia Gabella, e confondendo regia con regina, imbastisca tutto un romanzo sulla ipotetica signora Gabella, ricordando per metterla in rilievo Messalina o la Pompadour, o Giovanna di Napoli! Chissà che risate! Ebbene: il Ferrero fece uno sproposito simile. Trovò il nome di una misura lineare accompagnata dall'aggettivo regio, che i greci repubblicani usavano per tutte le cose persiane o asiatiche, e costrusse su quel disgraziato nome il romanzo biografico di un Menelik dell'antichità. La democrazia non trovò a ridire, e lo storico rimase ugualmente un fautore del progresso. E anche oggi, quando il «Secolo» pubblica un suo articolo da Parigi o da Tombuctú, qualcuno esclama: — Che peccato! E pensare al Ferrero d'altri tempi, cosí vivace, cosí vibrante di fantasia e di freschezza!
      Ma Ferrero non è cambiato; solo è sparita dalla sua testa l'aureola che allora la circondava.
      I francesi, che sono sempre arrivati con un ritardo di venti anni a conoscere ciò che succede in Italia, vedono ancora Ferrero con l'aureola e lo premiano.


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Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742

   





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