Gli amministratori della Fiat sono come tante Americhe che si portano via le ricchezze, mentre esse avrebbero dovuto rimanere in Italia. Gli interessi della nazione coincidono perfettamente, in questo caso, con gli interessi del proletariato. Il proletariato vuole che sorgano in Italia quante piú forze produttive è possibile, che aumenti la potenzialità economica collettiva, perché il socialismo è problema essenzialmente di produzione intensa che permetta il benessere a tutti nel giorno in cui avverrà il trapasso. E non è coi metodi della Fiat che può verificarsi un aumento di ricchezza industriale. La Fiat si è trasformata in ventosa, che assorbe dal Piemonte come dalla Calabria, dal Veneto come dalla Sardegna, denari, denari, denari, e in gran parte se ne serve a creare ricchezze individuali. Se i profitti andassero a dare incremento all'industria, a sviluppare, ad allargare il mercato del lavoro, servirebbero ad accelerare il processo del capitalismo. Cosí invece sono una forma di succhionismo, e noi abbiamo tutte le ragioni di parlare di banditi e di brigantaggio.
Agnelli, Marangoni, Dante Ferraris, Fornara e soci sono dei pericolosi sobillatori, e l'autorità dovrebbe occuparsene. Sono degli sgretolatori non dei costruttori. La guerra non è uno stato permanente di vita sociale, e solo la guerra ha permesso alla Fiat di realizzare i suoi favolosi guadagni. Domani, quando il monopolio cesserà, le azioni potrebbero subire un tracollo, e le maestranze potrebbero essere mandate a spasso.
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