Noi siamo soliti vedere l'aeroplano, da quando la guerra è scoppiata, solo come strumento bellico e il pilota che lo guida come un professionista della distruzione e dell'insidia.
A me piace vederlo simbolicamente come la crisalide cantata da Michelstaedter: germe di vita futura, giovinezza di una maturità che egli non potrà finire perché nell'incertezza del suo attuale destino, la morte lo spia e lo coglie troppo spesso con una corrente d'aria, con la rigidezza dell'organismo che ancora non è riuscito a diventare continuazione dei nervi e dei muscoli che cercano dominarlo. Si è adattato alla guerra il meraviglioso strumento dominatore dell'aria, ma allo stesso modo si sono adattate tutte le cose e le forze della nostra civiltà. Ma il suo destino non è la guerra, perché esso è il superatore delle barriere e dei confini. Non piú distinzioni di montagne, di acque, di reticolati che scampanellano quando il contrabbandiere cerca scavalcarli, non nastri di binari senza possibilità di scarto e implacabilmente fissati sulla crosta terrestre dalla matita dell'ingegnere. L'aria non offre possibilità di confini scellerati e di poliziotti che vi frugano le valigie e vi domandano il passaporto. Essa è di tutti e per tutti, e abbraccia con le sue correnti colossali come in morbide braccia tutta l'umanità senza distinzioni di Stati e di colori. Il fragile involucro del dirigibile, le sottili nervature dell'aeroplano si adattano alla nuova esperienza, e la lotta per l'affermarsi di questa nuova vita miete vittime e domanda sacrifici cruenti come le precedenti ormai vittoriose, e sono i giovani, le energie in boccio, che sfioriscono piú rapidamente e piú spesso.
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Michelstaedter Stati
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