Nella mia lettera io non ho fatto della teoria, né cado ora in tal peccato. Come uomo di azione pratica con idee molto chiare, ho seguito e seguo infatti una linea di condotta continua contro i privilegi della società borghese; non sono quindi fautore della concentrazione capitalistica, ma sento di doverla subire. Dall'averla constatata come fenomeno al farmi dire che non la nego, c'è di mezzo l'acrobatismo polemico.
Il mio pensiero è semplice. Come documento contro la iniquità dell'organizzazione economica borghese il bilancio della Fiat è tipico; ma come accusa a un singolo ente industriale per gli utili conseguiti, mi pare erroneo argomentare come tu hai fatto.
La tua azione giornalistica è indirizzata a intenti educativi, ma in questo caso non educhi se tu non vuoi meglio determinato il campo della critica. Quando io ti scrivo son fuori delle noie professionali e non faccio l'avvocato: non faccio neppure il professore e ti consiglio di fare altrettanto e di raccogliere gli appunti colla stessa benevolenza con cui ti son mossi. Tuo affezionato amico avvocato.
Amico avvocato, lasciamo da parte l'arcadia e la pedagogia. Sono, codeste, piacevolezze che non mi tangono. Raffrontando la prima lettera postillata con quest'ultima dell'avvocato amico, io debbo constatare che le opinioni di questo si sono aggiustate. Ed io che qualche volta so fare anche il bravo figliolo non rendo la pariglia all'amico avvocato. Siamo cosí d'accordo! Non noi ce la siamo presa coi singoli amministratori della Fiat.
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