(8 aprile 1916).
PRODOTTI NAZIONALI
L'invito insinuante vi segue, vi perseguita dalle vetrine, dalle pareti dei negozi: «Preferite i prodotti nazionali». Vi sta sempre dinanzi agli occhi come un monito od un'accusa implicita. Alla coercizione statale che, imponendo ai confini le barriere doganali e facendo rialzare i prezzi, obbliga i cittadini a comperare un prodotto piuttosto che un altro, si cerca di aggiungere anche una coercizione morale.
E va bene. Non si deve avere nessuna pregiudiziale generica. Il prodotto nazionale è frutto della nostra industria, è prova della nostra civiltà economica, e se viene offerto a condizioni vantaggiose e di qualità equivalente a quella del prodotto estero, perché boicottarlo? Se l'invito ha solo lo scopo di richiamare l'attenzione su ciò che prima si trascurava, si disprezzava per una facile abitudine di autoscreditamento, potrebbe anche essere approvato. La guerra, troncando molte delle correnti commerciali tradizionali, stabilisce automaticamente delle condizioni di monopolio che gli industriali italiani possono aver sfruttato per tirarsi su, per mettersi in istato di poter fare ciò che prima era impossibile, date certe condizioni speciali del nostro paese e la mancanza di certe materie prime.
Ma purtroppo non a questo tende il richiamo insinuante e suggestivo. Lo scopo che si vuole ottenere è un tantino diverso. Si vuole sostituire al fatto economico della libera concorrenza e della libera scelta in base alla maggior convenienza, una coercizione morale in cui il fattore politico ha la prevalenza.
| |
|