Cosí scrive il Coppoletto. Noi rileggiamo un libro che tanto amiamo, Notre jeunesse di Carlo Péguy, e ci inebriamo di quel senso mistico religioso del socialismo, della giustizia, che tutto lo pervade. Paragone immodesto, lo confessiamo, quello tra la campagna per la liberazione di Dreyfus e la campagna per la resa dei conti. Eppure nella prosa del Péguy sentiamo espressi con empito sovrumano, con tremiti di commozione indicibili, molti di quei sentimenti che ci pervadono, e che importa poco ci siano riconosciuti. Sentiamo in noi una vita nuova, una fede piú vibrante del solito e le miserie polemiche dei piccoli politicanti crassamente materialisti nella determinazione dei moventi, hanno solo la virtú di renderci piú alteri. Non ci spaventa la constatazione ridevole delle coincidenze con i giolittiani della «Stampa» e tanto meno quella coi neutralisti del «Giorno» di Matilde Serao, l'inneggiatrice alle prodezze dei sommergibili tedeschi. L'interventismo del conte Orsi è un campanaccio in un boschetto arcadico. Non è il conte Orsi che ha spiantato o spianterà l'Italia. La sua personalità ha per noi, in confronto della storia, la stessa importanza di uno straccio mestruato. Certo il suo ronzio noioso di mosca cocchiera ci importunava. Ma ciò che irritava maggiormente il nostro senso morale era la prosopopea da padre eterno di questo risibile Catone, che, impotente sempre a creare un organo forte dell'opinione pubblica, a imprimere alla vita politica — sia pure locale — una sua impronta di partito, vivacchiava alla giornata, corvo affamato sempre pronto a lanciarsi sui supposti cadaveri degli avversari.
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