Al signor Bevione, che si mostra cosí incoraggiato ad insolentire i socialisti ufficiali, «sabotatori della patria e della guerra», per ora vorrei domandare: come mai egli ha potuto ottenere di dimettere la divisa di volontario per tornare al fronte interno, alle comode e ben rimunerate battaglie della sua penna vendereccia?
Ecco una domanda che già indarno fu rivolta al signor Bevione. Comunque qui s'attende ancora che costui risponda.
(21 aprile 1916).
IL MITO DEGLI IPERBOREI
Dopo un anno e mezzo di vagabondaggio nei mari aperti del nord, gli Iperborei sono felicemente sbarcati nelle terre del sole. Quale Omero canterà il loro errare, le avventure meravigliose nelle terre dei Lotofagi, presso le Calipso e le Circi boreali che trattennero i loro condottieri avvinti coi dolci lacci d'amore? Ahimè! Passato è il tempo della poesia epica, ed è il giornale che ha distrutto questo fiore precoce della fantasia umana.
Già nel settembre del 1914 il giornale piú bene informato di Torino aveva mandato un corrispondente speciale a scortare i nuovi Ulissidi, e qualche notizia era già arrivata al mondo civile di questo nuovo ciclo eroico che stava aprendosi. Gli Iperborei, annunciava il giornale sullodato, sono partiti da Arcangelo (nome fatidico di buon augurio), hanno costeggiato l'estrema Tule, e le prime barbe cosacche e chirghise sono già state viste nella Scozia. Il giornale subalpino destò l'invidia dei suoi confratelli romani; si apprese che tutti avevano mandato i loro corrieri in anticipo ad Arcangelo; s'apri una interessante disputa per sapere chi prima avesse dato la bella notizia.
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