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      Un signore, amante delle piccole ironie, e al quale non è sfuggita dalla memoria una frase di questo calendarietto della vita cittadina, scrive una lettera molto pepata, a nostro riguardo, sul divorzio, sul libero amore, sul matrimonio. Ci domanda, con un sorriso da trionfatore:
      A che è servito il libero amore al professore siciliano rimasto vittima tempo fa della sua amante? Lo ha reso forse indipendente dai pregiudizi che voi combattete e cercate porre in ridicolo? Undici anni di convivenza, nessun legame naturale; il contratto scambievole, volontario avrebbe dovuto cedere da sé appena per uno dei due esso fosse diventato una catena, come si dice. Eppure ciò non fu possibile. Non solo, ma se egli fosse stato unito alla donna da un vincolo legale, forse non avrebbe pensato di troncare il legame, e la sua vita sarebbe stata salva.
      Accettiamo tutte le deduzioni amare e ironiche del nostro corrispondente. Esse sono inevitabili. E tuttavia non riusciamo lo stesso a mutare il nostro modo di pensare. Ci persuadiamo solo un poco di piú della relatività e quindi della falsità di ogni legge generale, e come sia assurdo il voler far rientrare tutti gli uomini in uno stesso schema. Abbiamo ereditato dai primi propagandisti delle nostre idee tutto un bagaglio di dogmi assoluti che la vita si è ingegnata per conto suo a svuotare di contenuto in buona parte. Uno di essi è il libero amore, che ha dato modo a tante facili ironie. Ma bastava pensare che quei dogmi assoluti non erano che costruzioni ipotetiche di possibilità future, perché le ironie non avessero piú ragione d'essere.


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Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742