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      Non abbiamo niente da obiettare alla riforma. Solo ci sembra mal scelto il momento della sua applicazione; o, per meglio dire, il giorno. Ecco, noi socialisti — socialisti torinesi in ispecie e della famiglia dell'«Avanti!» in particolare — avevamo stabilito proprio per oggi una grande dimostrazione. Sicuro: non si spaventi nessuno, né rida qualche altro; non si trattava di barricate, né di cose «idiote e nefande». Volevamo semplicemente commemorare lo Statuto. Perché da un anno abbiamo con doloroso stupore dovuto constatare in noi una conversione: siamo diventati costituzionali per la pelle. Il calore nostro di rivoluzionari è passato in altri spiriti; purtroppo dobbiamo ammetterlo. Salandra, Sonnino, il «Corriere della Sera» ci hanno rubato il mestiere. Per conservare la dignità di uomini, per distinguerci, abbiamo dovuto diventare costituzionali. Oggi doveva essere la nostra grande giornata. Per non cadere in errori, per non fare le gaffes solite dei parvenus (ci siamo, purtroppo), avevamo intenzione di invitare al nostro comizio il signor prefetto, il signor sindaco, il signor censore e altre personalità «rivoluzionarie» d'oggi e costituzionali di ieri. Ci avrebbero insegnato tante cose. Ci avrebbero instradati rettamente. Ci sarebbero stati dei contraddittori animatissimi, senza dubbio: la festa sarebbe stata bellissima.
      Ci hanno defraudati. Ci hanno indegnamente giocati. Volevamo una giornata completa di ventiquattro ore. Lo Statuto di ventitre ore non ci pare una cosa seria; siamo rimasti, anche nel nostro nuovo ruolo, rigidi e intransigenti.


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Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742

   





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