Ce lo dice una delle facce pallide, fermando il suo obliquo passo silenzioso sotto le navate deserte. Essa non dubita dell'identità dell'interlocutore. La censura ci ha abituato ai silenzi, bianchezza verginale; il gesuita crede alla nostra parola, si sbottona, comprendiamo, fiducioso. Fiducioso e con un sorriso sulle labbra sottili di discreto trionfo. Leggi dello Stato, proteste di cittadini, voti di consigli comunali, rumori mondani cui egli tende appena l'orecchio; la campana lo protegge e al momento opportuno i cittadini taceranno, la giunta troverà che tutto va bene perché il diritto canonico è stato osservato, e lo Stato continuerà come prima a non far osservare le leggi. La campana non ha vibrato, non ha avvisato di pericolo alcuno, ed è una buona campana, che sa il fatto suo e prende a cuore gli interessi dei suoi buoni amici. E il batacchio è a Roma in mano del generale, in mano alla congregazione del Concilio, che hanno le braccia lunghe e sono tanto influenti, tanto cari e diletti anche a chi si adorna del serpente verde e del grembialino massonico. Nelle labbra sottili vive sempre il sorriso indefinibile di sicurezza, di trionfo.
È vero però che altre volte altri battacchi hanno suonato a Torino, a martello e a festa, e non fu lieto suono quello che diedero le benedette terga dei discepoli di Loyola.
(28 giugno 1916).
IL PROFUMO E IL DECOTTO
Anacleto Morra, assessore della città di Torino, a malgrado del nome prosaicamente filisteo, si è rivelato uno squisito esteta.
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