Vinaj di non rovinarsi!
(18 luglio 1916).
IL BUON DIRITTO
La caccia all'uomo pensante, aperta il 24 maggio 1915, ha avuto come ultima vittima il sen. Raffaele Garofalo. Studioso freddo, osservatore disinteressato (borghesemente disinteressato) della realtà sociale, il presidente della Corte di cassazione di Torino ha osato ricordare che l'essere assistiti dal buon diritto non vuol dire per ciò solo sicurezza di vittoria, poiché non sono pochi gli esempi storici del trionfo del dispotismo e della prepotenza. Non ha servito al Garofalo l'avere con ciò solo ammesso che l'Intesa abbia dalla sua il buon diritto, non ha servito l'avere egli affermato che anche gli Imperi Centrali basino la certezza della vittoria sul presupposto assurdo della superiorità di cultura e di razza. Si è tirato su di lui la croce addosso allo stesso modo, e il Garofalo per gli scervellati guerraioli rimarrà sempre un reprobo, un boche d'Italia.
Il Garofalo, che in altri tempi ha combattuto aspramente il socialismo, che ha cercato di iniettare sulla ideologia borghese il reagente vivificatore del materialismo storico, deve aver sorriso amaramente dei suoi avversari; nei suoi freddi, vitrei occhi di scienziato deve essere anche passato un lampo di sdegno per lo smidollamento cui sono ridotti i rappresentanti della sua classe, ridicoli don Chisciotte, che combattono contro i mulini a vento del bene e del male, e credono, come i cavalieri antichi, di avere per grazia divina ricevuto il santo crisma del buon diritto, e per ciò solo essere invulnerabili, avere il talismano che fa deviare le schioppettate e le cannonate.
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