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      Per fare assolvere il suo cliente, il cavalocchi De Agostini ha detto che tutti i ferrovieri dello Stato rubano a mansalva. Per questo giurista il fatto che tutti possono rubare è giustificazione per quelli che possono aver rubato, e non si preoccupa di diffamare una numerosa categoria di gente che lavora pur di rendere salata la sua sportula.
      Donato lo prende per il petto e vuol costringerlo ad assumere la responsabilità delle sue parole. Ingenuità. Ma intanto se molti fossero ingenui a questo modo, cioè chiedessero che la giustizia sia e debba essere una cosa seria, ci sarebbero meno De Agostini a questo mondo, con giovamento ineffabile degli onesti e con meno rivendite di carta bollata. Ma bisognerebbe che quella tal democrazia liberale fosse piú nelle coscienze e meno nelle formule, cioè che non ci fosse piú democrazia liberale.
      (27 luglio 1916).
     
     
      L'AMULETO
     
      C'è nella commedia popolare italiana una maschera (Arlecchino o Brighella, o un altro qualsiasi della bella schiera) che ottiene uno strepitoso successo ogni volta che ripete la sua particina cristallizzata nella formula: «Lo sai che mi sono fidanzato con la figlia del re del Perú? E il matrimonio è per metà concluso; capirai, manca l'assenso della ragazza, ma c'è già il mio...»
      Francesco Campora è, fra i sessantaquattro maggioritari del Palazzo di Città, quella maschera. E recita per benino la sua particina ogni volta che se ne offre il destro. Piccoletto, faccia di buon uomo dalle tranquille digestioni, se la gode di rappresentare tra i sessantaquattro qualcosa che non sia la troppo vaga cittadinanza; lascia a Teofilo Rossi l'alto onore di essere il sicuro interprete dell'anima di tutta Torino; per reggere a tanta mole di magnanimi affetti ci vuole una mente universale, uno spirito tutto porte e finestre come quello del futuro ambasciatore, che non «muove collo né piega sua costa» sotto il destino che lo ha come pupillo.


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Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742

   





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