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      Francesco Campora parla solo a nome della classe operaia e ne ha abbastanza, il buon uomo, di questo auto-mandato. Egli è il refrigerante della maggioranza. Permette tutte le allusioni, permette ai sessantaquattro di sogghignare delle proteste della sinistra, tranquillizza colla sua presenza le coscienze timorate ed inquiete. Chi ha compilata la lista clerico... liberale per l'elezione del 1914 ha avuto senza dubbio la mano felice.
      Il fidanzato del Perú, la maschera che ripete la formuletta cristallizzata, ha la importantissima funzione dell'amuleto. Anche la superstizione è una forza sociale. Il bandito, che deve essere un uomo forte se ha avuto il coraggio di mettersi contro tutta la società, non può fare a meno di certi gingilli che lo assicurino, contro le minacce indefinibili e perciò piú paurose, della protezione di altrettanti numi indefinibili e perciò piú rassicuranti. La classe operaia è per i sessantaquattro una minaccia indefinibile. Avulsi dalla realtà, sommersi in un oceano di parole e di formule, non capiscono — questi ossessionati della paura socialista — in che veramente siano minacciati. Abituati a parlare in nome di qualcheduno, convinti di essere veramente i mandatari di qualcheduno, si sentono allargare il petto dalla soddisfazione quando la maschera pronuncia il sacramentale: «a nome della classe operaia!»
      Se lo dice, lo è, come lo sono i sessantaquattro; dunque la minoranza a che fa le parole grosse? Già, illusi, montatori di cervelli riscaldati, sobillatori; ma la vera, la sana classe operaia non è con Campora.


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Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742

   





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