E riteniamo, altresì, non dispiaccia al comm. Ferraris, che quei signori i quali, valendosi dell'impossibilità dello Stato di far diversamente, non sentono il patriottismo di andare essi stessi incontro a una ragionevole diminuzione dei prezzi, agiscono socialmente in guisa criminosa.
Ci siamo rallegrati di vedere cosí accuratamente imbalsamate e fasciate di pudiche foglie di fico le stesse cose da noi dette senza ambagi di ipotesi, senza cautele di poltroneria morale. La «Stampa» domanda scusa al comm. Ferraris di ciò che dice, non vuole che il comm. Ferraris possa credere che quell'aggettivo «criminoso» possa adattarsi alla sua persona. Gli individui devono scomparire, che diamine; si ragiona in ipotesi, come ben si intende. Non è consequenziaria la «Stampa»: essa è un giornale serio che non si abbassa al volgare pettegolezzo, al demagogico attacco personale. Tutto ciò, non può essere che triste privilegio dei socialisti, che si sono posti fuori della moralità nazionale, e come i briganti attendono all'angolo delle strade, quaerentes quos devorent. E tuttavia il lettore che segue la «Stampa» sa che lo scrittore vuole anche parlare del comm. Ferraris, sa che la risposta non è una semplice esercitazione retorica, accodata ad un quesito accademico proposto dal presidente amministrativo della Fiat. Sa che il Ferraris nella lettera si difende da una accusa specifica, e che questa accusa è solidamente ribadita. E allora? Perché la «Stampa», che ha pubblicato a suo tempo un'intervista con un azionista della Fiat, che si era opposto all'imbroglio contabile dell'immissione dei superprofitti nel capitale, non dà del mentitore al Ferraris, che afferma nessuno avere sollevato la questione nel momento opportuno?
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