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      Egli ha continuamente dinanzi agli occhi le sante istituzioni. Egli conosce i doveri del suo ufficio di arco di volta della società. E la società «sua» — quella di cui è paladino crociato — la riconosce all'abito, al fiuto. Lo abbiamo visto all'opera una delle scorse sere. Che cavalleria, e che disdegno per i villani! Il paladino crociato disdegna sempre i villani. È nel codice della cavalleria, il disdegno per i villani. E villano è chi veste il camiciotto, chi ha il viso un po' arrugginito dal lavoro appena smesso, chi non ha tutte quelle piccole distinzioni della «buona società» che Tabusso riverisce. Questa genia di villani è buona caccia per il paladino crociato. Ne presenta ogni tanto delle schidionate ben colme ai giudici. Qualcuno si meraviglia che lo schidione infilzi sempre i villani, perché nell'aula della giustizia ci è sempre chi sostiene che l'abito non fa il monaco. Ma il paladino risponde prontamente: altro non ho visto! Gli altri, i villani non arrugginiti dal lavoro, quelli che hanno i segni di distinzione, non c'erano, a delinquere. Essi rimangono a casa e mandano questi bruti al macello.
      Tabusso, cosí, ottiene tanti scopi. Dà modo ai giornali di parlare dei capoccia che non s'arrischiano in piazza, mentre «gli ingenui sobillati» vanno al macello (perché poi questa parola, egregio avv. Molar?), e non corre il rischio di essere rimproverato per l'arresto di qualche illustre o figlio di illustre. Il villano può essere sempre arrestato, egli non protesta per l'arbitrio.


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Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742

   





Tabusso