Una donnetta si è avvicinata alla mia anima in pena. Mi ha compianto, e dietro promessa di assoluto silenzio e segreto, mi ha suggerito un indirizzo: via tale, numero tale, rivolgersi al portinaio; al tal piano una signora della buona società cede un po' di zucchero per favore, veh! solo per eccezionale favore, e alla clientela distinta. È vero, bisogna pagare cinque o sei e anche dieci lire al chilo. Ma si può avere fino a un chilo di zucchero. Non è poi pagar troppo. Per un soldo di zucchero a tariffa statale si perdono due, tre ore di tempo. Il tempo è denaro. Ecco che dieci lire diventa un prezzo di favore, di impagabile favore. Tutti se ne devono persuadere. Eppoi c'è il rischio della multa. Non che il pericolo sia troppo: le guardie hanno da pensare a tante cose, che difficilmente si preoccupano di simili bazzecole, ma il pericolo c'è e bisogna pagare anche il pericolo.
Cosí ho avuto un po' di zucchero, per l'interposizione di non so quante persone. E mi sono persuaso che i miei concittadini hanno un fiuto degli affari veramente ammirabile. I pargoletti, le pargolette, gli ascendenti e i discendenti dell'esercente, passano il loro tempo a dosare i pacchettini (carta a prezzo di merce) da un soldo e due soldi, un chilo di zucchero al giorno che permette di mettere fuori tutto lo stock della merce avariata in dieci anni di magazzino. Gli altri chili passano ai piani (rivolgersi al portinaio, con discrezione e segreto) e sono venduti a cinque o sei e dieci lire al chilo. I miei concittadini hanno il vero fiuto degli affari, piú che le guardie non abbiano il fiuto della volpe.
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