(6 febbraio 1917).
PASTORELLERIE
L'occhio dell'eminentissimo cardinale Agostino Richelmy, per grazia di Dio e della Santa Sede apostolica arcivescovo di Torino, s'č trovato quest'anno Ģin un gran numero di persone costernate e lacrimanti, che aspettano dal loro vescovo la parola del confortoģ. Benedetto occhio che si ostina a rimanere aperto, mentre l'altro si č giā chiuso da un pezzo, lasciando cosí all'eminentissimo cardinale facoltā di vedere solo metā della vita, di non essere mai per un sí, o per un no, di tacere su una infinitā di cose, di non dire ai fedeli che aspettano la parola decisiva che rischiari la loro coscienza, e dica loro se i pastori vogliono trarre il gregge all'abisso o all'eden di ogni dolcezza.
L'eminentissimo cardinale Richelmy deve essere, come si addice a un pastore di greggi, importante membro d'Arcadia. La sua pastorale č tutta una musica di agresti campanacci, il Gesú gli si trasforma tra le mani in un dilettevole giocattolo alla giapponese, buono per i perditempo: una scatoletta, e dentro un'altra scatoletta, e un'altra e un'altra ancora e finalmente il vuoto. Le persone costernate e lacrimanti aspettavano in fondo qualcosa che mitigasse la costernazione e le lacrime. Avevano ben diritto di aspettare che il loro pastore sceverasse dal cumulo di calcinacci del diroccato edifizio di Pietro le pagliuzze d'oro del conforto e della guida in questi tempi di atrocitā e di miseria. Ahimč! L'arcade Richelmy ama le svenevolezze del madrigale; l'agnello di Dio č per lui un roseo agnellino infiocchettato di nastrini e ben agghindato di ricciolini, che bela amabilmente, senza che il suo belare diventi verbo di vita attuale, giudizio di cose attuali, norma d'azione attuale.
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