«Come avremo cercato di conoscere i suoi desideri, di intendere i suoi insegnamenti, avremo trovato il riposo alle travagliate anime nostre». Ma dov'è il travaglio dell'anima dell'eminentissimo cardinale? Può essere travagliata un'anima di zucchero filato? Travaglio di arcade. Udite. Il cardinale Richelmy, mentre il suo occhio contempla lacrime e costernazioni per i fatti attuali, è tutto un dolore (oh! quanto lancinante!) per non avere preso parte all'ultima cena degli apostoli, o al succulento desinare delle nozze di Cana. Nessun altro rimpianto, nessun altro desiderio desta in lui la scorribanda melensa e incipriata attraverso la vita dell'«amabile» redentore, gli scritti del «nostro caro» Luca e del «dolcissimo» Gersenio. Aveva promesso di far godere «della presenza di Cristo, dei suoi insegnamenti, degli ineffabili suoi doni», ma si dimentica per istrada della promessa. Troppo pericoloso parlare di certe cose in questi momenti, quando la censura gratta a noi persino gli accenni alla pace contenuti nella messa che i cappellani militari devono pur pronunziare al fronte in cospetto dei guerrieri. «Sillaba di Dio non si cancella. La parola di Gesú è parola di Dio: beati i poveri di spirito... beati i puri di cuore... beati quelli che hanno fame e sete della giustizia... beati i pacifici... beati quelli che soffrono persecuzioni per amore della giustizia... Sii umile e pacifico e Gesù sarà teco». Questo dice, è vero, l'arcade lacrimoso; ma quanta zuppa per sí poco nutrimento; quanto sciroppo dolciastro per un granellino di vero evangelo, che può sentire di aloe e di mirra!
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