(17 aprile 1917).
LETTERATURA ITALICA: 2) LA POESIA
Il poeta Arturo Foà, crudelmente offeso per un nostro accenno poco riguardoso alle sue versificature, ci ha inviato il suo ultimo volume Mentre la guerra dura, per provarci che la «sua anima paterna può essere tranquilla». «Ho aperto con trepidazione i miei libri di canti. Che i miei versi, nati puri dal cuore, si fossero corrotti nelle pagine stampate come figli traviati per le bettole del mondo? Ma i miei versi non mi avevano tradito. Ragionavano, serenamente, della vita e della morte e della vanità di molti discorsi umani».
Abbiamo letto il nuovo volume del poeta: e vi abbiamo infatti trovato molte vanità. Novanta pagine in ottavo: due di indici, 44 bianche, 44 stampate, e di esse 21 stampate solo a metà (cronaca esatta, per evitare polemiche incresciose). La nostra fatica non è stata grave, e di ciò siamo grati al Poeta; il miglior ragionamento sulla vanità dei discorsi umani non può essere che il bianco volontario: 44 vani e 21 semi-vani: è tutto un palazzo moderno, da mobiliare utilmente da quell'inquilino-lettore che abbia a propria disposizione i mobili sufficienti. I figli, nati puri, del Poeta hanno un bel fare: non riescono ad occupare tutto. Perché questi nati puri, benedetti figliuoli, sono bene educati, molto bene educati; camminano lentamente, composti, pallidini, perché il papà li nutre solo di marzapane e di chiaro di luna. È molto se riescono ad occupare 23 vani e 21 semi-vani; si stiracchiano, gonfiano le gote, ricoprono le sparute personcine di lunghe, arricciolate strisce di coriandolo, ma non basta.
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