Come uomo politico avrebbe potuto essere sindaco di Carmagnola, buon sindaco di un paese rurale: volle essere ministro giolittiano, deputato giolittiano, sindaco giolittiano. Il giolittismo è la marca politica del decimo sommerso italiano: l'insincerità, l'affarisino, il liberalismo clericale, il liberalismo protezionistico, il liberalismo burocratico e regionalista. Borghese, volle essere nobile, volle fregiarsi di tutta la chincaglieria del feudalismo borghese. Neutralista, volle essere ufficiale degli alpini senza obbligo di trincea. Volle vedere il suo nome stampato nella copertina di ponderosi volumi che erano stati letti solo dalla sua dattilografa: la dattilografa di Teofilo Rossi copiò le sudate carte di Ferdinando Gabotto, e Teofilo Rossi acquistò il diritto di vedere stampato il suo nome sulla copertina dei volumi.
Teofilo Rossi era un documento prezioso. Chi desidera un'Italia migliore, chi desidera degli italiani migliori, che lavorino per cose utili, che non siano vanitosi, che non siano ipocriti, che al parere preferiscano l'essere, e quest'essere attuino vigorosamente, sinceramente, trovava in Teofilo Rossi il modello di pervertimento del carattere da esporre alla riflessione per un fine educativo. Egli se ne va, egli è caduto come un sacco di paglia, come Margutte, il mezzo gigante, il mezzo uomo, il crapulone Margutte ucciso da un granchiolino. È morto da giolittiano: è morto perché nella insincerità costante della sua vita ha avuto un momento di sincerità. Il cliché si è spezzato: è impossibile fermare la marcia irresistibile di una lacrima furtiva.
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