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      Romano e i suoi furlotti.
      (22 giugno 1917).
     
     
      DON FERRANTE
     
      Gaspar è ritornato a Torino, e ha tenuto un altro dei suoi applauditi discorsi. Ma Gaspar ha un tantino cambiato il suo armamentario polemico: ci sarebbe impossibile questa volta paragonare la sua attività oratoria a quella di quei frati per i quali Pascal diceva che era piú facile trovare dei frati che delle buone ragioni. Gaspar questa volta ha tenuto a dichiarare che non polemizza coi socialisti. Anzi egli ha fatto di piú: egli ha tenuto a dichiarare che non conosce socialisti italiani, perché non possono esserci socialisti neutralisti, perché non ci sono piú socialisti neutralisti da che è manifesto che questa guerra è guerra alla guerra, che questa guerra è per il diritto e la giustizia, e non vi possono essere dei socialisti che siano contro la giustizia ed il diritto.
      Gaspar ha dato un abito logico alla sua attività oratoria. Questa volta non è necessario uscire d'Italia per rintracciare il tipo ideale cui riaccostarlo. Gaspar ultimo parla e vive in un capolavoro italiano; dopo le Lettere provinciali di Biagio Pascal abbiamo dovuto rileggere i Promessi sposi dell'italiano Manzoni: Gaspar vive in Don Ferrante.
      Gaspar si trova di fronte al socialismo italiano nella stessa posizione ideale di Don Ferrante di fronte al contagio. Don Ferrante negava il contagio con le stesse argomentazioni logiche con cui Gaspar nega il socialismo italiano. Il contagio non poteva essere, quindi non era. In natura non vi sono che determinate entità, e il contagio secondo Don Ferrante, non possedendo nessuna delle loro qualità, non poteva esistere, quindi non esisteva: non era visibile, non era pesante, non era voluminoso, ecc. non era.


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Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742

   





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