(29 luglio 1917).
QUALCHE COSA
Poiché, a malgrado tutto, la vita continua, ed è necessario riempire con qualche cosa ognuno dei sessanta secondi di ogni minuto primo, parliamo pure di qualche cosa, cerchiamo nelle varie rubriche della nostra memoria una qualche noticina marginale, anche sia essa una di quelle noticine che appena fissata, cancelliamo; perché non bisogna caricarsi di superfluità, perché bisogna costringere anche le proprie circonvoluzioni cerebrali a fissare solo ciò che può essere utilizzato. Una noticina marginale cancellata lascia ancora intravedere un nome: Gius. Vito Galati, tafano inconcludente. Poiché bisogna pur parlare di qualche cosa, parliamo dunque di Gius. Vito Galati, scrittore di politica estera, articolista di alto bordo nel meglio fatto dei giornali torinesi: il giornale dei paperi e delle gazze.
Gius. Vito Galati scrive bene. Oggi scrivono bene tutti, anche i collaboratori del «Tempio di Salomone», organo dell'associazione enigmistica italiana. E pensa. Pensa molto. Il cervello di Gius. Vito Galati deve essere attrezzato come una scuola froebeliana; legnetti d'ogni forma e misura, accatastati su un tavolo, e un bambino è accanto al tavolo, e vuole trovare i legnetti necessari per fare una cattedrale, e ne prende un fascio e ammucchia e sovrappone e poi ammira e si ammira, estasiato. Ci sono dei bambini cosí intelligenti e cosí vispi che sanno fare dei campanili e delle cattedrali proprio con nulla. Cosí Giuseppe Vito Galati, il quale prende un ritaglio dell'«Idea nazionale», che lo ha colpito per il luccichio di una ieratica e veramente solennemente italiana affermazione di Enrico Corradini, e scrive un formidabile attacco contro Gaetano (anzi Gaetanuccio) Salvemini per provare in due e due quattro che il Salvemini non si intende un fico secco di politica estera, e ha finito di stuccare i politici esteri con le sue malinconie mazziniane a proposito degli Jugoslavi.
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