La luce è ciò che piú di tutto lo unisce agli altri: la luce dei lampioni che gli uomini hanno inventato per distinguersi meglio dalle fiere, per non urtarsi fra loro, rendere meno probabili gli urti volontari fra gli uomini-fiere e gli uomini-agnelli.
L'uomo sente la collettività. La sente tutta in sé, la misura tutta sulla sua persona, sulla sua vita. Ora sa chi sono gli altri, perché sa come mangiano e quanto mangiano, come vestono, come calzano, o come pensano, ciò che sanno, ciò che devono ignorare. Pensa che il collettivismo sia una cosa ben esecrabile, se fa urtare il naso nei lampioni, se riduce le vite degli uomini a meccanismi tipici, a serie.
L'uomo pensa. In fondo, riflette, non è la collettività che ama battere il naso. La collettività c'entra poco in tutte queste diavolerie. La collettività non conosce l'Imperio, conosce la Libertà. Il collettivismo della luce bleu è il collettivismo di una minoranza, non di una maggioranza: è il collettivismo per decreto luogotenenziale; non è il comporsi armonico di tutte le volontà in una volontà, di tutti i bisogni in un utile universale. Il collettivismo della luce bleu è la caserma che veniva levata come spauracchio dinanzi alle fantasie pavide ieri, quando l'altro collettivismo faceva paura. È collettivismo della sofferenza, ma non della felicità.
L'uomo pensa sotto il lampione, e continua a forbirsi la faccia. Pensa che non troverà una fontanella per lavarsi e che il sangue manda nella sua gola un tanfo acre e dolciastro, insopportabile.
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Imperio Libertà
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