Č un leggero immorale. Roso dall'ambizione, senza preparazione tecnica, senza intelligenza sufficiente, ha ricoperto alte cariche portatovi dalla politica di corridoio. Č uno dei tanti microbi politici che hanno sforacchiato il gracile organismo del giovane Stato italiano, ne hanno spezzato i tendini e macerato le ossa. Il suo spirito di civismo si č esaurito tutto nei discorsi per la «Dante Alighieri»: retorica bolsa, vernice velenosa che nascondeva i mali, li incancreniva. Non ha mai lavorato, non ha mai preso sul serio nulla. Ministro delle finanze nel gabinetto Salandra, quando piś urgeva risolvere i problemi che avrebbero in seguito ostruito il libero svolgersi delle attivitą nazionali, se ne stava lontano da Roma, passava le sue mezze giornate a passeggiare sotto i portici di piazza Castello. Quando gią incominciavano a farsi sentire le prime ripercussioni dell'entrata in guerra, e tutta la impalcatura dello Stato scricchiolava per le gravezze nuove, Daneo si crogiolava nella beata illusione del migliore dei mondi e dello stellone d'Italia, e lasciava ai burocratici del ministero il disbrigo degli affari d'ordinaria amministrazione. I borghesi seri, che sentono la responsabilitą che grava sulla loro classe, dovrebbero essi prendere a pedate questo frustolo d'uomo, questo parassita della loro energia e attivitą. Dovrebbero essi vergognarsi che Torino sia alla Camera esaltata da questo eletto dagli staffieri di casa reale e dai sacrestani del duomo. A noi socialisti Daneo fa solo nausea: non č solo un borghese, č un cattivo borghese; č doppiamente parassita: della collettivitą e della propria classe.
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