L'esercente, per l'on. Bevione, è diventato il nume tutelare della resistenza interna. Un compito enorme assegna ai suoi colleghi il pizzicagnolo della politica estera: far resistere il popolo minuto. Tra una vendita e l'altra, tra una protesta e una domanda di credito, il buon esercente dovrà far la predica. Chi meglio di lui conosce l'anima del popolo minuto? L'anima si conosce attraverso lo stomaco: dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei. L'esercente è il padrone dello stomaco: diventerà il padrone delle anime, diventerà il guidatore delle coscienze italiane.
Dall'alto del suo banco, la testa confusa tra i salami e i prosciutti appesi al soffitto, parlerà di Federico Barbarossa e degli Unni; nell'atto di scoperchiare un bariglione di salacche ricorderà Alberto da Giussano e gli eroi del Carroccio; col coltellaccio pronto a tirare un fendente sulle terga di un bue squartato, canterà, il buon esercente, le gesta dei paladini e dei crociati; brandirà una cotoletta di porco contro i turchi, e vendendo una candela di sego ricorderà le gesta dei croati.
La guerra vista sotto specie esercentesca, acquista, senza dubbio, in pittoresco e in gustosità. Se gli esercenti seguiranno l'impulso impresso loro dall'on. Bevione, molte cose cambieranno. L'opinione pubblica subirà una metamorfosi. Dalle botteghe oscure, allietate dei profumi piú intensi di merluzzo e di cacio pecorino, uscirà l'Italia rinata ai suoi destini sul Piave e sugli altipiani.
È vero che l'on. Bevione quest'opera di propaganda la ritiene indissolubile «dallo scrupoloso ossequio alla legge», ed è anche vero che il cav.
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