Dunque un capo di famiglia del popolo può spendere venti lire al giorno per il pranzo e la cena (vino ed acqua di seltz esclusa). Una famiglia di cinque persone non spende solo per il pranzo e la cena. Se è seguita la massima tedesca (seguiamo il nemico nei principî che hanno contribuito a renderli forti e compatti, predica la «Gazzetta»): spendi per mangiare meno di quanto sei, per l'abitazione piú di quanto sei; le venti lire rappresentano solo la metà delle spese quotidiane: altre venti lire dovranno essere spese per gli abiti, la pulizia e l'abitazione. E siccome l'uscita deve essere sempre inferiore all'entrata, è plausibile concludere che un padre di famiglia, che deve pensare al mantenimento di cinque persone, guadagna quotidianamente a Torino cinquanta lire al giorno. Se possono offrirsi i menú popolini dunque, può concludersi che non manca in Italia né burro, né farina, né verdura, né carne, né pomidori (per la salsa), né senape e peperoncini per stuzzicare l'appetito, e non mancano i guadagni superbi (essi non solo non mancano, ma anzi sono comuni, perché il menú è dato per la media dei lettori) che permettono di consumare tutto questo ben di dio di cui riboccano i mercati e le vetrine. Cosí il menù può diventare la quinta arma per lo schiacciamento dei nemici, ed il conte Delfino Orsi accumula i titoli per diventare il terzo giornalista italiano che entra in Senato per apportarvi i lumi e l'intelligenza necessari per renderlo piú adeguato all'altezza dei tempi.
(14 gennaio 1918).
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