Ogni singolo vuol significare tutti, in linguaggio matematico, e cosí si formerà l'opinione diffusa che tutti sono delle vittime, ma che esiste una ipotetica media che si mangia tutte le derrate, che accumula tutte le ricchezze; e questa media non si potrà impersonare in un ceto superiore di classe, ma sarà un fantasma medio-borghese, un fantasma di untori, di monatti, di polverine, di miracolose persone che sono dappertutto e in nessun luogo come l'onnipotenza divina.
Questo il disfattismo del conte Orsi e della «Gazzetta del Popolo»: far nascere uno stato d'animo imponderabile, imprecisabile, perché ognuno crede di essere vittima ed è creduto dagli altri un Lucullo, perché ognuno soffre ed è creduto dagli altri un epicureo. È lo stato d'animo ideale per il diffondersi delle notizie piú strampalate, per l'affermarsi delle credenze piú fantastiche e mirabolanti. Il microbo tedescofilo vi trova la sua cultura naturale, e prospera e intacca il saldo organismo della resistenza nazionale.
Ma chi compie questa opera deleteria è il conte Delfino Orsi, il lampadoforo della tradizione piemontese. È la «Gazzetta del Popolo», la seminatrice di coraggio, la sentinella avanzata dell'italianità e dell'idea nazionale.
Queste constatazioni era necessario farle per integrare l'oltranzismo, e per dimostrare l'altra faccia immancabile: il disfattismo. Ma lo scandalo di Bolo Pascià non ha ancora aperto gli occhi a nessuno. Cordialmente. — Io stesso.
(15 gennaio 1918).
RISPETTO DEI DOCUMENTI
Il signor Italo Minunni si è offeso dell'attributo «canagliesco» con cui abbiamo accompagnato la sua interpretazione (e dell'on.
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