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      Si avvia all'ufficio aguzzando gli sguardi sui manifesti murali, insinuandoli nelle vetrine: ovunque il piú abbietto e scellerato disfattismo può aver sparso i suoi germi venefici. Si ferma ad una vetrina della «Buona Stampa», occhieggia un'immagine: Maria, pallida e sottile, china la testa piena di grazia con adorabile compunzione: [una riga censurata]. Il signor Censore allibisce, rabbrividendo. Tabú, orrore. Scrive sul taccuino: annota, numero e via, insegna, e angolo di vetrina. Svolta in via Alfieri, imbocca la porticina, sale qualche gradino. Orrore, orrore: al primo piano, sul muro bianco sporco, color ricotta, caffè e cannella, una mano furtiva ha tracciato in stampatello con le ombre un gigantesco: Viva [parola censurata]. Orrore orrore. Il signor Censore fa quattro gradini per volta, rovescia un usciere, magro allampanato anche lui per la depressione intensiva cui deve sottostare tutto l'ufficio di censura, chiama, scampanella: un bacile, dell'acqua, una spugna; censura sui muri delle scale. Egli stesso si rimbocca, inzuppa la spugna e soffrega rabbioso: censura sui muri dell'Ufficio di censura, quattro carabinieri per le scale degli uffici di censura a tutelare il candore dei muri, candore di ricotta, cannella e caffè. E poi al telefono: Questura centrale; comunicazione con segretario, capo di gabinetto; una guardia, due guardie, con un brigadiere, via tale, numero tale, una vetrina, cartoline deprimenti, bisogna provvedere. — Va bene, le manderò il brigadiere [parola censurata] della squadra politica.


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Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742

   





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