Con garbo («Lo creda, il signor Politis...»), ma protesta in nome del codice penale. I numerosi cittadini Isaia, Davide, Assalonne che abitano in Italia, in Francia, in Rumenia, in Germania, in Russia, non sono cittadini come tutti gli altri: essi, i miserabili, sono tutti pregiudicati, sorvegliati speciali, condannati al confino. La loro coscienza si è macchiata di un orribile delitto: essi sono deicidi, hanno 1885 anni or sono ucciso il cittadino Gesú Cristo, figlio di incerto genitore e di Maria di Nazareth, nato a Betlemme e vagabondo senza fissa dimora. Lo hanno ucciso, i miserabili: trascinati innanzi al Tribunale supremo dell'onnipossente Creatore furono condannati al confino senza limiti di spazio e di tempo. La sentenza fu eseguita con implacabile e previdente severità. L'onnipossente e onnisciente Creatore già da cinquecento anni aveva iniziato con solerzia e meticolosità la preparazione della mano d'usciere: la terra di Palestina si isteriliva, e quando l'assassinio del cittadino Gesú Cristo fu consumato, già una buona parte dei futuri carnefici aveva preso la via dell'esilio, conscia del destino che incombeva sulle sue colpevoli teste.
Il cittadino Politis, in combutta con altri cittadini, amanti della chiacchiera piú che dello studio dei reali termini del problema, ha espresso l'intenzione di inoltrare ricorso in appello presso l'Alta Corte della Lega delle Nazioni per reintegrare i nominati deicidi nel territorio dei loro padri antichi. Il cittadino Simoni si leva, pubblico ministero del Creatore, e domanda la conferma della condanna.
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