Pensate quale liberazione se un rogo gigantesco divorasse le «pratiche» che sono ammucchiate su migliaia e migliaia di tavoli e scaffali, e come felici ballerebbero intorno ad esso la danza dell'emancipazione migliaia di travet, carnefici e vittime insieme. Poiché veramente piú disgraziati dei disgraziati, cui tocca aver da fare con le amministrazioni pubbliche, sono quelli che la «pratica» devono emarginare, trattare, gonfiare. Essere costretti ad un lavoro che si sa perfettamente inutile per il novanta per cento, a scrivere delle lettere che si sa non essere prese sul serio dai destinatari uffici competenti, a chiedere con delle domande stereotipate delle risposte che si conoscono già parola per parola, e tutto solo perché la «pratica» dev'essere istruita, perché il capo divisione, il capo sezione, il capo ufficio, il sotto-capo ufficio, il capo gruppo potrebbero piantare qualche «grana» se, per avventura, si accorgessero chi non ha scrupolosamente rispettata la circolare 12501 del 1898, e l'ordine di servizio, ecc., e durare in questa fatica idiota ed idiotizzante tutta la vita, è un supplizio che Dante poteva infliggere a chi aveva ammazzato suo padre! E non c'è niente da fare. Inutile ogni ribellione; bisogna piegarsi ed ubbidire, e tacere anche se un capo ufficio dedica la sua giornata a dividere la corrispondenza ed a prepararla in varie cartelle per le varie firme dei vari superiori, preoccupato se erano state adoperate secondo le buone norme le formule sacramentali «con stima» o «con osservanza», preoccupato di non sbagliare a mettere i timbri, sotto cui i superiori firmeranno; anche se un pezzo grosso perde il suo tempo, che pure i cittadini pagano bene, a correggere una lettera sostituendo frase a frase, parola a parola, tanto per dimostrare forse che lui sa scrivere, anche se ad allietare le lunghe, noiose ore d'ufficio va un collega a raccontare la storia del timbro.
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Dante
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