Sembra una cosa da nulla: è invece un'enorme esperienza, che solo la tradizione popolare poteva riuscire a provare e concretare. Il decimo canto dell'inferno dantesco, la fortuna che esso ha avuto nella critica e nella diffusione, è dipendente da questa esperienza. Farinata e Cavalcante sono puniti dell'aver voluto troppo vedere nell'al di là, uscendo fuori dalla disciplina cattolica: sono puniti con la non conoscenza del presente. Ma il dramma di questa punizione è sfuggito alla critica. Farinata è ammirato per il plastico atteggiarsi della sua fierezza, per il suo giganteggiare nell'orrore infernale. Cavalcante è trascurato; eppure egli è colpito a morte da una parola: egli ebbe, che gli fa credere suo figlio essere morto. Egli non conosce il presente: vede il futuro e nel futuro il figlio è morto; nel presente? Dubbio torturante, punizione tremenda in questo dubbio, dramma altissimo che si consuma in poche parole. Ma dramma difficile, complicato, che per essere compreso ha bisogno di riflessione e ragionamento; che agghiaccia d'orrore per la sua rapidità e intensità, ma dopo esame critico. Cavalcante non vede, ma non è cieco, non ha una plastica evidenza corporale della sua sventura. Dante è un poeta colto in questo caso. La tradizione popolare vuole la plasticità, ha una poesia piú ingenua e immediata.
Il bambino di Ostria, la fanciulla della pia Casa del Cottolengo, sono appunto due canti della poesia popolare: poesia, niente altro che poesia...
(18 aprile 1918).
DISCIPLINA
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Cavalcante Ostria Casa Cottolengo
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