Si possono fabbricare i fini morali, instillarli nelle tenere menti sui banchi della scuola? Ma la scuola continua nella società, e la vita di relazione sociale è ben diversa da quella degli apologhi, dal buon Giannetto al Pinocchio. Il lavoro solo dà impulsi morali, è il crogiolo dal quale si volatizzano le essenze spirituali che possono dare una regola di vita. I piú sono immediati e solo per concatenazione arrivano al generale. La patria, la famiglia, l'umanità, la bontà, la giustizia hanno bisogno, per essere reali, di prender forma piú volte al giorno in attività minime che domandino fatica e sacrifizio, che diano soddisfazione e gioia. Si devono trasformare, queste parole, in carta da annerire con l'inchiostro, in peso da sollevare sulle spalle, in utensili o macchine da mettere in azione. La moralità consiste solo nel mettere in relazione l'azione minima col fine massimo, e perciò è necessaria l'esistenza dell'azione minima, di un rosario infinito di queste azioni da sgranare quotidianamente. Altrimenti, ebrezza di cocaina o ebrezza di parole vuote, allucinamento fisico o allucinamento spirituale per un moscone-parola che sbatte le ali da una parete all'altra del cranio: patria, umanità, popolo, giustizia...
La moralità, — i piú non esistono fuori dell'organizzazione, prenda il nome di Ecclesia o di Partito, — non esiste senza un organo specifico e spontaneo di realizzazione. La borghesia è un momento di caos non solo nella produzione, ma anche nello spirito. Ha disgregato l'Ecclesia, l'organizzazione della vita morale autoritaria, ma nei nostri paesi non è passata per la fase del puritanismo e della clubmania.
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