Pagina (595/742)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Vollero energicamente provvedere. Uomini d'azione, gelosi del prestigio della loro patria (patria vi significa appunto paese natale) mandarono il fabbroferraio a comprare alcuni quintali di buoni chiodi, accompagnandolo di un agricoltore famoso per i solchi diritti tracciati dal suo aratro. E fu un'orgia di lavoro. I campi furono dissodati come mai si era fatto, e nella terra nera, soffice, i chiodi furono seminati, e la semina fu seguita da grandi feste dionisiache di tripudio per l'èra nuova iniziatasi nei fasti della patria. Non piú negozio di fichi secchi e zibibbo, di cacio e pellami, di sughero e nocciole, ma ferro, ferro. Quei buoni uomini non sapevano che Blanqui aveva detto: Chi ha ferro ha pane. Non sapevano della disputa per cerziorare se la massima dovesse ritenersi del solo Blanqui, o nella sua vaghezza fosse patrimonio anche di Tiburzi, di Tamerlano, di Guglielmo II e di Barabba. Eran lieti, e altro non domandavano.
      E quando le prime acque compressero alquanto la terra arata, e punte arrugginite spuntarono, qua e là, nuove feste furono celebrate per i germogli tanto aspettati.
      Oggi però gli abitanti del paese del ferro si sono scaltriti; hanno ripreso il commercio dei fichi secchi, del bestiame, dello zibibbo, del cacio; e quando passano, gridando la loro merce, per le strade dei finitimi villaggi, e un buontempone domanda loro scherzosamente: «Ebbene, e il ferro è cresciuto?», diventano scuri in volto e palpano il coltello rispondendo: «Eccone una foglia fresca, fresca». Perché quantunque scaltriti, sono ancora barbari e violenti.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742

   





Blanqui Blanqui Tiburzi Tamerlano Guglielmo II Barabba