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      [Venticinque righe censurate].
      Gli sono estranee le correnti del pensiero moderno che hanno ringiovanito tutta la dottrina dello Stato e del Giure — superando le concezioni puerilmente metafisiche della dottrina tradizionale, degli imparaticci da scoletta universitaria — colla riduzione dello Stato e del Giure a pura attività pratica, svolta come dialettica della volontà di potenza e non piú pietistico richiamo alle leggi naturali, ai sacrari inconoscibili dell'istinto avito, alla banale retorica dei compilatori delle storiette per la scuola elementare. Il «ragionamento» del giudice Pili è solo una filastroccola di banalità retoriche, di gonfiezze presuntuose: esso è il ridicolo parto di un fossile intellettuale, il quale non riesce a concepire che lo Stato italiano almeno giuridicamente (e come giudice questa apparenza della realtà doveva solo importare al «giovane» da tribunale) è costituzionale, ed è parlamentare per tradizione (l'on. Sonnino è gran parte dello Stato attuale, ma crediamo che il suo articolo Torniamo allo Statuto! non sia ancora diventato legge fondamentale del popolo italiano): [cinque righe censurate]. La «dottrina» del giovane da tribunale infatti si consolida (!) in esclamazioni enfatiche contro chi ha «resistito» o è accusato di aver resistito: non cerca (come era suo compito) di dimostrare, alla stregua delle prove concrete e sicure, un delitto per passare l'esatta commisurazione alla sua entità di una pena contemplata nel codice. No, il «giovane» vuole sfoggiare, come una contadina ricca del Campidano di Cagliari le vesti multicolori che hanno servito alle sue antenate per le nozze e per decine e decine di anni sono rimaste seppellite in un vecchio cassettone a fregi bestiali e floreali tra lo spigo e una dozzina di limoni: e sfoggia tutti i vecchiumi, tutti gli scolaticci dei vespasiani giuridici chiusi per misura d'igiene pubblica.


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Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742

   





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