L'autorità giudiziaria ha tratto in arresto un macellaio, consigliere comunale, debitamente repubblicano, democratico e patriota, perché ha venduto carne guasta ai soldati. Il consiglio rumoreggia, protesta. Il medico consulente, simbolo della scienza e della logica asservite agli interessi di classe, sostiene che l'igiene è una invenzione reazionaria, che la carne corrotta ha virtú stomatiche di prim'ordine, che la febbre tifoidea sa rispettare le gerarchie, cosa per cui colpisce i soldati, ma non gli ufficiali, la plebe, la poveraglia pezzente, ma non il popolo borghese. I consiglieri si entusiasmano alle parole della scienza, e l'entusiasmo arriva al delirio patriottico quando viene ricordata la missione eroica dell'epidemia, che abitua i soldati all'idea della morte per la nazione e per l'ideale.
Quand'ecco che s'avanza un messo di sventura: la febbre tifoidea ha ucciso un borghese, un borghese «piccoletto e rotondetto, dalle gracili gambe, dalla pancetta ben tesa nel panciotto». Succede uno scompiglio. Le piú legittime ed autorevoli opinioni sono state rovesciate. E allora: si riabilita l'igiene, si minaccia la lanterna al collega macellaio, si votano milioni e milioni per l'acquedotto, per il risanamento delle caserme, per tutti quei provvedimenti che assicurino l'integrità fisica dei borghesi, insidiata, minacciata da tanti mali crudeli.
La farsa sarebbe d'occasione, potrebbe dare qualche utile insegnamento ai buoni borghesi di Torino, i quali, una volta tanto, uscirebbero di teatro soddisfatti e non rimpiangenti la spesa fatta.
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Torino
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