Luigi Grandolini, infine, rivendica la sua buona fede, l'interezza della sua coscienza, l'entusiasmo umanitario e idealistico, che lo spinsero ad «abbracciare» la santa causa della guerra e a propugnare l'Unione socialista nazionale contro l'internazionalismo classista del Partito socialista.
La crisi del pentimento del Grandolini individualmente vale quanto una zirlante zanzara cocchiera; e a Torino l'interventismo «rivoluzionario» non supera, in nessun altro capoccia, la statura intellettuale del ridevole Maddaleno. Ma la crisi è diffusa: tutta la «vera» democrazia italiana, «veramente» rivoluzionaria, è in crisi, e si dispera e si dibatte angosciata. Tutta l'intellettualità italiana — che aveva accettato il dolce incarico governativo di propagandare e persuadere i soldati e il popolo, che aveva promesso, che aveva giurato — è oggi in crisi. Il povero idealismo politico attende spasimoso l'approssimantesi tuffo in poco odorosi recessi.
L'idealismo politico è stato convinto di slealtà; la classe intellettuale italiana è rea confessa di millantato credito e di truffa all'americana. Aveva promesso senza avere la capacità di mantenere, aveva giurato al contadino che, arrischiando la vita o la validità al lavoro, avrebbe conquistato per i figli la pace e la giustizia sociale e la sicurezza alla vita. Perché aveva promesso? Perché aveva giurato? Quali garanzie aveva? Su quale potenza fondava la sua azione di convincimento delle anime semplici e ingenue? Ed è galantuomo chi promette senza avere il mezzo di mantenere, chi spinge alla morte un padre, affidandolo all'avvenire dei figli, e ai figli è capace solo di offrire belle parole?
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