(24 maggio 1919).
VIGLIACCAMENTE
Sono ormai sette settimane (come nella storia del piccolo naviglio) da che un brivido ghiacciato rattrappisce le ossa, i muscoli, i nervi nostri. Sono ormai sette settimane da che il piccolo naviglio tenente Massimo Rava (presentazione autoprotocollare del tenente Rava Massimo: «un avversario deciso, colla mente e coi muscoli sani», «un rompiscatole soldataccio che ha il malvezzo di scagliar fulmini», «uno scavezzacollo che non č abituato a lasciarsi pestare i calli»), dopo aver difeso il proprio paese contro il nemico esterno, č ritornato al natio luogo (a differenza del prode Anselmo, il prode Massimo č ritornato al suo natio luogo), e subito si ha sentito uno scossone, e subito ha fondato la «Riscossa nazionale», settimanale di riscossa nazionalista, e subito riscosso ha iniziato dal suo blockhouse un fiero lanciamento di fulmini contro il nemico interno, contro il bolscevismo, contro la tirannia rossa, contro lo sbafo socialista, contro le tartine alla crema, contro gli evoluti e coscienti analfabeti, contro tutte le turpi superfetazioni, contro i caporioni del Pus, contro l'Avanti-Indietro! Sono ormai sette settimane da che il fresco tambureggiamento dello strenuo manipolo della morte condotto dal prode Rava ci investe, diritto come la fiamma del lanciafiamme, sicuro come il pugnale dell'ardito, implacabile e asfissiante come la prosa del prof. Vittorio Cian. Sono ormai sette settimane da che intorno alle nostre teste guizzano i muscoli potenti e le vibrazioni delle callositą mentali dell'atleta nazionale Rava Massimo, e un incubo ci opprime e ci par di essere trascinati in una sarabanda di giganti calzati di ferro (poveri noi che abbiam le pantofole), che ci urtano, ci pestano e perentoriamente, romanamente, imperialmente ci impongono, col dito teso del prof.
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