(5 marzo 1920).
NEL «TEMPIO» DELLA SAPIENZA
Stanno avvenendo, in questi giorni, non a torto chiamati rivoluzionari, delle trasformazioni curiose. Scompaiono gli dèi, precipitano gli idoli, tramontano gli ideali, le parole stesse stanno cambiando di valore e di significato. Non eravate soliti anche voi sentir dire che l'università, il luogo dove si forma la mente della gioventú che domani sarà classe di governo, è un «tempio»? Il tempio della scienza. Il tempio aperto alla universale adorazione di questa dea solenne, che voi certo ricordate, nelle vecchie allegorie accademiche, figurata come matrona dall'aspetto maestoso, dallo sguardo sereno e severo, sprezzatrice delle turbe profane, tendente una mano alla giustizia e l'altra alla libertà, dee sorelle. Ahimè! non vi accada di entrare nel cortile dell'Università di Torino, se ancora nutrite nel vostro pensiero queste generose illusioni; non vi accada di entrare a cercare, nel recinto del sacro tempio, i segni della sovranità della severa classica dea.
La nostra università è ancora un tempio? Sí, soltanto se alla parola si dà un significato un pochino diverso da quello primitivo. È diventata, la nostra università, qualcosa di meno pagano di un tempio: la solennità si è perduta, si è perduto anche il raccoglimento che potrebbe fare del tempio una chiesa. È rimasto, del tempio e della chiesa, il lato sordido, volgare, bottegaio; la nostra università non è piú un tempio, è una sacrestia. Sulle colonne voi potete vedere, affissi col permesso delle autorità scolastiche, gli annunzi delle messe, delle penitenze, delle comunioni, dei rosari e dei sacri uffici.
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Università Torino
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