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      E si procedeva d'amore e d'accordo. Ogni tanto un grande giornale cittadino faceva una strepitosa campagna contro l'amministrazione la quale ecc., ecc., tanto per poter, quindici giorni prima delle elezioni, fare un nuovo accordo, stringere un patto nuovo, avere qualche cosa di piú. E i preti benedivano gli elettori in sacrestia, le beghine li accarezzavano nei salotti, i giornali imbonivano il pubblico, Teofilo Rossi prosperava e si leccava i baffi. Quelli erano tempi!
      Oggi c'è il partito, c'è la disciplina, c'è l'intransigenza. Chi le ha inventate, chi le ha messe di moda queste diavolerie da bolscevichi? Vi immaginate l'«onesto» esercente che per capirne qualcosa deve leggere gli articoli di alta politica e le considerazioni quasi serie del «Commercio»? Vi immaginate il sacrestano che non può piú contrattare i voti come il prete le messe, vi immaginate la beghina che cessa di essere grande elettrice? Che non ci sia un mezzo per uscirne? Possibile che gli avvocati, che i pubblicisti, che i teologi del partito non sappiano pensarne nessuna? Per questo le assemblee del Partito popolare sono tanto interessanti.
      Naturalmente le assemblee di partito prendono tutto sul serio. È il loro dovere. La disciplina, il programma massimo, i principî, l'intransigenza. Il sacrestano e la beghina non ne capiscono nulla, ma per i soci del partito, questa è la sola, questa è la diritta via. Si dice che le parole di alcuno degli oratori spirassero tanta austera intransigenza da scapitarne Robespierre.


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Sotto la mole
1916-1920
di Antonio Gramsci
pagine 742

   





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