È una fibra di ferro che, non soltanto non si rompe, ma nemmeno si piega. In quei giorni, F. D. Guerrazzi fu veramente grande; grande quanto un reggitore di stati espertissimo; grande quanto un eroe antico.
Avvenuta, il 12 aprile, la restaurazione granducale, il Guerrazzi fu imprigionato nel forte di Belvedere. Indi, prima che gli Austriaci entrassero in Firenze per accompagnarvi Leopoldo II, fu trasferito nel Maschio di Volterra. Da quel carcere passò, nel novembre del 1849, in quello delle Murate di Firenze; e vi rimase fino al 1853. In questo secondo carcere scrisse parte della Beatrice Cenci e La Vendetta paterna. Così non rimaneva egli inoperoso.
Fattogli il processo, venne condannato all'ergastolo: ma la condanna gli venne poi commutata in quella di confino in Corsica.
Si cercò nel processo di coglierlo in fallo per abuso del pubblico denaro, che egli avrebbe commesso nella sua qualità prima di ministro, poi di Dittatore: ma non vi si riuscì. Fu anzi provato che, in tutto il tempo che egli rimase al potere, non solo non aveva abusato del denaro del pubblico, ma vi aveva rimesso "del suo più del doppio dello stipendio."
A propria difesa scrisse il Guerrazzi l'Apologia, nella quale vi hanno pagine eloquentissime, che anche oggi non si leggono senza ammirare.
Il Guerrazzi giunse a Bastia nell'agosto del 1853 e vi rimase fino all'ottobre del 1856. Ivi terminò la Beatrice Cenci e scrisse la novella "Fides".
Intimatogli poi il "domicilio coatto", fuggì a Capraja, e di lì andò a Genova.
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