Mais c'est que je parle quelquefois comme un oison".
Dimenticanze e distrazioni gli avveniva di commettere persino in ciò che più dappresso riguardava i suoi studi: nelle note storielle premesse all'Adelchi, dopo il cenno del matrimonio di Desiderata o Ermengarda, figlia di Desiderio con Carlo Magno, aveva scritto che: "le cronache di quei tempi variano perfin nei nomi, quando però li dànno". Federico Odorici lo avvertì che ambedue i nomi in tedesco significavano "figlia di Desiderio", e che perciò erano identici. Il Manzoni ringraziò e promise di sopprimere nella nuova edizione l'immeritato rimprovero a' cronisti; ma poi se ne dimenticò, ed ebbe a scusarsi della sua "scappataggine" presso l'Odorici.
Una volta, conversando con un amico, citò una sentenza che gli pareva bella, ma non si rammentava più dove l'avesse trovata. "Sfido! - gli disse l'amico; - è vostra!" (Dialogo dell'invenzione); egli restò confuso, corse al volume delle sue Opere varie, e rispose un po' balbettante: "Quand'è così, la citazione non ha alcun valore", e mutò discorso. Nè questo è il solo, nè il più sorprendente esempio della sua davvero "portentosa" dimenticanza di ciò ch'egli stesso aveva scritto. Una sera, narra il Fabris, a chi gli citava due o tre versi del coro: "Dagli atri muscosi", ecc., egli disse non ricordare punto quei versi. Un'altra sera una signora, che aveva recitato stupendamente a Napoli la parte di Ermengarda, gli diede il proprio ritratto, con sotto scritti alcuni versi di questo personaggio; invano i famigliari gli ricordavano che erano suoi; egli sostenne risolutamente di non averli mai scritti, finchè dovette cedere all'evidenza, "quando gli additai - scrive Fabris - il luogo preciso della tragedia dove si trovavano.
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