Io ammetto, perciò, col Sergi, col Greco, col Renda, che la natura del genio sia spesso analoga a quella dell'idea fissa; e che i genî, come gli affetti da ossessione e da idee fisse, tocchino l'apice della creazione, tendendo tutta la loro attenzione in quella direzione in cui li ha incanalati una grande impressione ricevuta o nella pubertà (Cap. V) o in altri stati critici analoghi (Vedi sopra cap. X), cavando materiali sempre nuovi dal cosciente, ma sopratutto dall'incosciente (Vedi sopra cap. XI), materiali, quindi, che sfuggirebbero agli occhi volgari, o, almeno, non ne richiamerebbero una grande attenzione. Quindi si capisce come molti genî abbiano detto essere venuti ad una scoperta, pensandovi sempre (D'Alembert, Helmoltz); e noi vedemmo sopra in Galileo la prima grande impressione della lampada (Vedi Cap. V), che aveva dato luogo nella giovinezza alla scoperta del pendolo, perpetuarsi fino alla tarda età, dando luogo alla scoperta dell'orologio; e vedemmo in Colombo come, una volta fissatasi l'idea Toscanelliana sul nuovo mondo da scoprire, nol lasciasse un giorno senza accumulare prove in proposito, false o vere che fossero, sicuro della scoperta come se tenesse (dicevano i suoi famigliari) l'America dentro la camera (Vedi vol. I).
Quanto più forte - scrive Mach(46) - è la connessione psichica tra le molteplici immagini mnemoniche (il che varia secondo le disposizioni individuali), tanto più feconda sarà l'osservazione accidentale: Galileo conosce il peso dell'aria, conosce la renitenza del vuoto espressa dal peso e dall'altezza di una colonna d'acqua; ma queste idee rimangono nella sua mente l'una accanto all'altra.
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