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      Carlyle diceva che "la musica e la lingua degli angeli".
      Molti luoghi della Commedia - scrive Graf(65) - mostrano che Dante ebbe squisito senso musicale, e così Petrarca, che l'armonia di liuti, canti e suoni rapivano fuor di sè stesso
      .
      Metastasio non solo componeva, ma cantava i suoi versi. Goëthe gustò l'arte di Mendelssohn. Byron non poteva udire musica melanconica senza piangere. Moore, per perfezionare i propri versi, usava cantarli, e diceva la parola povera a paragone della musica. Leopardi preferì, è vero, la musica triste, ma gustò pure il Socrate immaginario di Paesiello. "Notisi - con Graf - come quel rozzo canto che passa nella via, e lontanando muore, subito sollevi la mente del poeta alla considerazione di tutto ciò che passa e muore nel mondo, ond'egli ricorda gli avi famosi e il grande impero di Roma, e finalmente conclude:
     
      Tutto è pace e silenzio; e tutto posaIl mondo, e più di lor non si ragiona".
     
      Errerebbe di grosso - conclude il fine critico - chi in tutto questo, invece di un procedimento di associazioni, che nell'animo del Leopardi è spontaneo e naturalissimo, non vedesse altro che una velata lirica e un artificio retorico. Qui l'impressione musicale deriva la massima parte del suo valore estetico dall'abituale contenuto della coscienza.
      E così in molti altri casi. Nelle Ricordanze, udendo il suon dell'ora che dalla torre del borgo gli arreca il vento, il poeta commenta;
     
      Era confortoQuesto suon, mi rimembra, alle mie notti,
     
      Quando fanciullo, nella buia stanza,


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Nuovi studi sul Genio.
Parte II (origine e natura geni)
di Cesare Lombroso
Sandron Editore
1902 pagine 193

   





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