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      Aristotele(95), infatti, aveva notato - e l'osservazione è ora stupendamente riconfermata dagli studi sull'ipnotismo e sul mediumismo - che la facoltà di presagire il futuro è spesso dovuta, più che ad una speciale forza dello spirito, ad una speciale debolezza del corpo. Al che Cicerone(96) oppone energicamente: non avere noi il diritto di attribuire ai frenetici, piuttosto che ai cardiaci o ad altri ammalati qualsiansi, questa che è divina prerogativa di uomini, non fisicamente deboli e degenerati, ma di animo eletto e puro: all'affermazione di Aristotele, fondata sull'esperienza, egli oppone - proprio come i miei critici - la pura e semplice sua convinzione che rifiuta di prendere in esame i fatti; anche qui appare la poca consistenza di Cicerone nel campo del pensiero speculativo; tra l'acutezza di osservazione, che ha fatto di Aristotele uno dei più grandi pensatori umani, e la leggerezza di Cicerone, quanto immenso è il divario! (Bersano).
      Nè questo è l'unico punto di contatto tra il pensiero di Aristotele e quello della mia scuola.
      Già Aristotele aveva cercato, nell'esame della costituzione psico-fisica degli eroi e dei poeti nazionali della Grecia, le ombre che, anche nella sua mente, accompagnano la grande luce del genio. Il passo è nei Problemata, sect. XXX.
      In questo passo è pure notata l'importanza dei fenomeni epilettici nel genio. Bersano, anzi, vi trova la conferma di un'opinione che già io avevo timidamente avanzata, secondo cui fin dai vecchi pensatori l'epilessia era posta in relazione col genio artistico e religioso, avvertendo però che in questo passo di Aristotele è usata la parola melanchonia e melanchonicoi, per indicare tutta quella serie di fenomeni patologici che, fatta ragione delle diverse spiegazioni della medicina antica e moderna, ora sono compresi sotto il nome di nevrastenia e nevrastenici.


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Nuovi studi sul Genio.
Parte II (origine e natura geni)
di Cesare Lombroso
Sandron Editore
1902 pagine 193

   





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