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      Dagli eroi nazionali passa ai filosofi. Qui ricorda, tra i più vicini a lui, Empedocle, Platone, Socrate ed altri molti illustri, senza indugiarsi su questi, il cui temperamento doveva essere ben noto ai suoi contemporanei.
      La stessa osservazione egli estende ai poeti, dei quali la maggior parte - egli dice - fu soggetta alle malattie che da tale disposizione fisica provengono; mentre gli altri hanno evidentemente un temperamento proclive a tali malattie, tanto da permettergli l'affermazione che tutti, per così dire, i poeti hanno un temperamento morboso.
      Questi i fatti che Aristotele afferma, con quella sicurezza che ora si direbbe scientifica; il problema che egli si posa, riguarda anzi non questo fatto, ma le sue cause; perciò egli ricorda i varî effetti che il vino ha sul temperamento degli uomini, rendendoli dapprima ciarlieri, poi coraggiosi, energici; indi violenti, furiosi, infine pazzi.
      Molti di questi effetti coincidono con altrettante forme di melanchonia; però, mentre il vino muta il carattere solo per breve tempo, invece ad ognuna di queste situazioni che apparivano temporaneamente come effetti del vino, corrispondono altrettanti temperamenti, che ci presentano questi caratteri, stabilmente, per tutta la vita.
      Egli nota, nella loro melanchonia, la tendenza alla libidine; ne distingue poi due gradi principali, a seconda che le forme patologiche sono determinate dalla bile nera fredda o calda; quindi da una parte la paralisi cerebrale, l'intorpidimento intellettuale, gli scoraggiamenti, le paure; dall'altra le gioie dell'arte, le estasi, ecc.


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Nuovi studi sul Genio.
Parte II (origine e natura geni)
di Cesare Lombroso
Sandron Editore
1902 pagine 193

   





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